IL QUINTETTO: storielle di vita viennese

(tratto da: “Gedanken”, Franz Schubert – 1828 Wien)  Una sera di gennaio del 1828, all’età di trentun anni, non mi ritrovai in una selva oscura bensì, per me molto peggio, ai piedi della torre sud del duomo in Stephanplatz. Ho sempre pensato che lo Stephansdom, anzi “Steffi” come lo chiamiamo noi viennesi doc, fosse un orrendo e mal riuscito miscuglio di romanico e gotico. Quel groviglio di pietre antiche mi provocava un fastidio viscerale. Non ho mai espresso questo parere in pubblico, non avrei trovato consenso tra i miei concittadini e, per molti motivi, avevo già abbastanza problemi così, senza necessità di procurami altri guai. In ogni caso, nonostante la mia insofferenza estetica, quello era il luogo che il mio caro amico d’infanzia, Jurgen, mi indicò per incontrarci prima di cena. Non lo vedevo da una decina d’anni ormai.

  • Franz Peter! Franz Peter! Brutto Scheißestuck ah ah ah! Cosa fai lì col naso all’insù e quegli occhialetti da secchione? Dai, abbracciami!
  • Jurgilein! Liebe Jurgilein! Sei sempre il solito imbecille! Ah ah ah! Vieni qua vecchio bastardo!

Era nostra abitudine apostrofarci con nomignoli e insulti coloriti ogni volta che ci incontravamo. Può sembrare strano ma, per noi, era la manifestazione di una bizzarra forma d’affetto. Jurgen, come me, era nato nel sobborgo del Himmelpfortgrund, non proprio un posto da nobili. Siamo cresciuti in famiglie umili condividendo molte difficoltà ma, a differenza mia, non avendo lui doti particolari ebbe la capacità di emanciparsi sposando Hanna Lakatos, la bellissima figlia unica di una ricca famiglia di Veszprém, in Ungheria.

  • Franz Peter…
  • Sei l’ultimo che mi chiama ancora così, ormai sono Franz per tutti.
  • Va bene, Franz! Come stai? La salute, tutto bene?
  • Meglio non parlarne. Come ti ho scritto nell’ultima lettera, sono ricomparse quelle chiazze rosse, il prurito a mani e piedi.
  • Oddio! L’inda lue!
  • Temo di sì.
  • Tu? Non posso crederci, ma come l’hai presa? …lascia perdere, non voglio saperlo. Ho già capito.

Cadde il silenzio fra noi e, senza aggiungere una parola, ci incamminammo in direzione del Graben alla nostra sinistra.

  • Jurgen, ma cosa fai? Perché ti tocchi i…
  • Nulla, solo superstizione. Lo faccio ogni volta che passo di qua.
  • Questa è una novità! Da quando ti è venuta questa idea?
  • Da sempre, Franz! Sono superstizioso e ipocondriaco. Ci pensi mai che questo posto è un cimitero e che ci sono sepolti i morti di peste… e se accadesse ancora?
  • Jurgen! È successo quasi due secoli fa! Non farmi ridere!
  • No! Centoquarantanove anni fa per l’esattezza!
  • Ti fanno impressione i cimiteri? Pensa che volevo chiederti di accompagnarmi, domani, ad Eisenstadt sulla tomba di Haydn.
  • Franz pure lui!
  • Ah ah ah! Cosa c’entra! Certo si chiamava Franz e allora?
  • Porta male, dammi retta! Adesso fai lo splendido ma il passaggio da compositore a decompositore potrebbe essere molto breve.
  • Fai le battutine? Stai scherzando con un malato?
  • Ti prego, fammi un favore, per stasera non parlarmi più di malattie e morti. Ora entra, guarda dove metti i piedi, fai attenzione ai gradini.

Eravamo, così, giunti all’Esterhàzy Keller, un simpatico localino in una traversa di Naglergasse. Una piccola Stube in legno con il tipico Kachelofen a riscaldare l’ambiente.  Il clima familiare e raccolto ci fece dimenticare i problemi. Mangiammo senza trattenerci. Tra birre e Bratkartoffeln feci anche indigestione di Blauforellen pescate in giornata nel Donaukanal. Si dà il caso che, in quel tempo, avessi iniziato a scrivere un nuovo quartetto con violino, viola, violoncello e pianoforte. Fu così, a seguito di un paio di rutti ben assestati, che mi resi conto dell’assonante necessità di aggiungere, al quartetto, il contrabbasso e di cambiare decisamente tonalità. In quel frangente gastrico e pesante decisi, pertanto, di chiamare la mia nuova composizione “La Trota”, Die Forelle, anche se Jurgen, con insistenza, proponeva come nome Gli Spätzle, i gnocchetti, per celebrare definitivamente l’orrore culinario di quella pantagruelica cena. Lo convinsi a cambiare idea argomentando riguardo al completamento musico-culinario che avrei raggiunto giacché avevo pure composto, qualche anno prima, Die schöne Müllerin, la bella mugnaia. In quel mentre, il minaccioso cucchiaio di legno di Frau Klingerhof, la cuoca, roteante sopra le nostre teste ci convinse a uscire in fretta dal locale.

Non tornai mai più all’Esterhàzy Keller e fu l’ultima volta che mangiai, insieme a Jurgen, una forelle pescata nella bella Donau blu. Burp!

[ Diego C. de la Vega ]

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(…)una grave malattia venerea, la sifilide già manifestatasi nel 1822, aveva da tempo minato il fisico di Franz Schubert, che non riuscì a resistere a un attacco di febbre tifoide, contratta a Eisenstadt  durante una visita alla tomba di Franz Joseph Haydn. Morì il 19 novembre 1828 a nemmeno 32 anni (…) [wkpd]

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