Ho un amico cinese. Amico, quasi amico, non ancora del tutto amico, insomma abbiamo problemi a comunicare. Sto imparando un po’ il cinese. So dire delle cose, ma non sono sufficienti a spiegare tutto, quindi ripiego su un italiano molto basico, tutto un po’ declinato all’infinito, e con un ingente italico uso delle mani. Insomma, il cinese è difficile. Già il nome…
- Come ti chiami?
- Ingkjkjhkhjkgcxxxlasjdglj-cin
Ecco, non è proprio facile da pronunciare così l’ho ribattezzato Ciù Enlài (si scriverebbe Zhou Enlai), ma non glielo dico, è una semplificazione che ho fatto io e la uso per tutti i cinesi. Lui sostiene di avere la traduzione in un nome italiano:
- Difficile da pronunciare, ma come si traduce?
- Vuol dile: Pielo.
- Piero? Ah! Be’ è più facile e tua moglie come si chiama?
- Piela.
Da queste informazioni capisco che Piero non è affatto la traduzione ma un minimo comune denominatore dei nomi che usano i cinesi, in Italia, per farsi riconoscere.
Piero è anche mio vicino di casa e fa, quasi, il mio stesso lavoro. Questa è una faccenda complicata. Non fa proprio il mio lavoro, sono più io che faccio il suo, ma non proprio. Insomma, Piero lavora a tutte le ore. Quando esco al mattino lo vedo nel suo laboratorio a testa china e quando torno, dopo le otto di sera, è ancora lì che lavora. Anch’io lavoro tanto in termini di ore, ma lui mi batte. Ho incominciato a osservarlo per capire come fa. L’ho visto lavorare la domenica sera, la Vigilia di Natale, il lunedì di Pasqua. Lo so, il comunismo cinese non prevedeva queste festività, allora ho cercato le feste cinesi e ho scoperto che il Capodanno dura ben due settimane. Cade, secondo il loro calendario, tra gennaio e febbraio. L’ho aspettato al varco. Nulla. Ha lavorato tutti i giorni senza sosta. Tutto questo impegno mi ha incuriosito e ho iniziato a farmi delle domande sul PIL cinese e su quello italiano giungendo, secondo le migliori discussioni da bar, alle medesime conclusioni dell’espertissima casalinga di Voghera.
Il nocciolo della faccenda è questo: i cinesi ci battono perché lavorano tanto e ci copiano. Sai cosa faccio adesso? Copio il cinese che copia noi e vinco!
Come in ogni piano d’assalto che si rispetti, dopo l’analisi sono passato all’azione provando, così, a fare i suoi stessi orari. Niente da fare, sono schiattato dopo meno di dieci giorni. In particolare, mi abbatteva quella sua coda di lavoro dopo cena, dalle 21 alle 23, a cui proprio non riuscivo ad adattarmi. Evidentemente aveva un segreto. Una sostanza che lo teneva in piedi tutte quelle ore, una roba tipo il balsamo di tigre ma commestibile. L’ho interrogato.
- Nì hào mà Piero! [sto imparando il cinese]
- Ahahahahah [ride molto, per educazione] bene, glazie, bene.
- Senti un po’ Piero, ma cosa mangi alla sera?
- Mollie, mia mollie fale da mangiale, fale tutto lei.
- Ah, ho capito…
Come non detto. Con cordialità orientale la sera stessa, siccome è mio vicino di casa, bussa alla porta sua “mollie” e mi porge un vassoio pieno di ravioli cinesi con una salsa di aglio, soia, aceto e non so che altro. Mi consegna tutto di corsa e scappa via perché “paula di cani, io paula cani”. Cuba e Lucy, un chihuahua e una maltese, l’avevano intimorita; meglio così, non si sa mai con tutte quelle faccende della cucina cinese che prevede la carne di cane, insomma, i cagnetti sono al sicuro. Comunque, i ravioli fatti in casa erano immensamente più buoni di quelli che conosciamo, ho pensato che in fondo dovesse esserci la stessa differenza tra il pesto che faceva mia nonna in casa e quello che una nota azienda milanese vende, spudoratamente col nome di “vero pesto genovese” nei supermercati a base di olio di semi di arachidi e ancardi. Ravioli fantastici, li ho mangiati tutti! Però niente da fare, ero più stanco di prima, il cibo non è il segreto che lo rende un Obelix del lavoro orario-continuato-senza-tregua.
Volete sapere com’è andata a finire? Non riesco ancora a fare i suoi orari, ma non ho abbandonato l’idea di copiarlo, credo sia la strada vincente e, nel frattempo ho approfondito un po’ la conversazione. Ho scoperto che anche lui mi osserva incuriosito. L’altro giorno abbiamo affrontato l’argomento e gli ho chiesto cosa pensasse di “noi”. Trova bizzarra quell’abitudine di chiudere per ferie: “italiano non capile io, tu chiudele negozio estate poi pelsone non sanno dove complale”, e ride.
Poi uno si stupisce che gli mettano i dazi, ma… se se avesse ragione lui?
Non so che dire, di certo in questo anni, noi italiani, ci siamo impoveriti. Immagino già le sue espressioni quando gli dovrò spiegare che una nuova legge gli impedirà di tenere aperta bottega la domenica. Del resto, conosco persone che hanno chiuso attività e negozi attivi da anni e, purtroppo, non si sarebbero salvati nemmeno se avessero aperto giorno e notte tutta la settimana.
Io mi accontento, per ora, di imparare a fare orari milanesi, che sono un po’ i nostri stakanovisti e, nel frattempo, ho imparato a fare il riso cantonese. Incredibile, vero? L’ho fatto assaggiare a Piero: ha superato la prova, gli è piaciuto!
Un grande successo, cucinare cinese per un cinese, non c’è grembiule di MasterChef che regga davanti a un successo simile. Vi rendete conto? Vedo già il mio avvenire, nel caso tutto il resto andasse male: italiano finto cuoco cinese che copia cinesi che cucinano cinese!
Questo è lo spirito giusto! W l’Italia! Macccheccefrega degli orari di lavoro, l’importante è “fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”, come diceva il Melandri.
Così, Piero, per farmi capire la differenza tra cucina buona e cattiva, mi ha invitato ad andare a Milano con lui a mangiare in un ristorante cinese vero, un po’ come se io lo invitassi a Recco mangiare trofiette e focaccia:
- Noi andale Milano [parla di Milano come fosse casa sua] pelò offlo io, pago io mangiale.
- Grazie Piero, no problema, pagare tutti e due.
- No, no offlo io.
Ecco, come dicevo all’inizio, in un modo strano stiamo diventando amici, imparo molte cose e se la “Cina s’avvicina” sono preparato all’impatto dei prossimi anni. Cina vieni pure qua quando vuoi che, tra una generazione e l’altra, vedrai che qualche bel finto ristorante cinese di plastica per turisti, gestito da italiani, prima o poi impariamo a farlo anche noi!
PS: è tutto velo.
[Diego c. de la Vega]